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"Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia"
"Inferno"
da "La Divina Commedia" di Dante Alighieri

voci recitanti:

Sandro Carotti e Teresa Fallai (Confessioni)

Carlo Monni (Nono cerchio)

Sandro Carotti (La città di Dite)


Paola Saponara (flauti)
Luca Becorpi (clarinetto)

coordinamento: Niccolò Rinaldi
musiche originali: Claudio José Boncompagni
ideazione scenica: Mario Librando
allestimento: Massimo Carotti e Mario Librando
promozione: Cinzia Donnini Melchionne



Note per “Inferno”

Il poderoso telaio della Divina Commedia talvolta c'imbarazza: è difficile seguirla, sia leggendola che ascoltandola, senza sbirciare nelle note esplicative; è difficile dirla ad alta voce, fare propria quella nostra lingua ancora in fasce eppure già così ricca, elegante, musicale e soprattutto sicura di sé. Ed è difficile stare dietro alla storia, tutti presi da un passaggio a un altro, dai mille rimandi, dall'intricato cammino nell'aldilà.
Farne teatro, poi, proporla a un pubblico è un rebus. Per chi come me e tanti altri attori fiorentini prese parte alla coraggiosa lettura integrale della Divina Commedia diretta a suo tempo da Orazio Costa alla Badia Fiorentina, quella resta una strada maestra per apprezzare il poema nella sua immensità. C'era un pubblico fedele, abitudinario, che veniva nel luogo dove Boccaccio aveva inaugurato la tradizione delle lecturae Dantis, e il poema sgorgava in mesi di appuntamenti come una fontana instancabile. di settimana in settimana si dipanava attraverso la pronuncia ad alta voce d'ogni sua terzina.
Ma pochi sono i titani come Costa, e allora spesso ci s'accorcia il compito con la vigliacca alternativa delle letture di canti o episodi isolati, un po' qua un po' là - basta arrotondare la voce, portarla rombando, inneggiando a quell'italico birignao che Zauberteatro ha sempre bandito.
A forza di leggerla e rileggerla, di studiarla criticamente sui banchi di scuola o di lasciarsi sedurre dal pozzo senza fine dei suoi significati simbolici e talvolta perfino esoterici, la Commedia ci si para davanti come un vastissimo palazzo letterario, composto di saloni e corridoi, grandi scale percorse in giù e in su, un'architettura in versi che abbiamo la tendenza di ammirare da fuori, nel suo insieme. Quando c'entriamo, è facile perdercisi.
Ma due cose spiattellate nella Commedia propongono un'altra semplicità nel leggerla e ascoltarla, e il Dante delle nostre serate teatrali ne è il riflesso.

Niccolò Rinaldi, 2001

"Confessioni"

Il primo lume è dato dalla selva di personaggi nei quali s'imbattono Dante e il vate scarpinando per l'inferno. Molti appaiono quasi fulmineamente, brevemente pittati da parole introduttive di Dante, balbettano o sbraitano, in un paio di terzine di presentazione-desolazione-invettiva o quant'altro, e subito sono riassorbiti dal vasto magma eterno delle pene infernali. Ma altri, pochi tutto sommato, sono voci atroci e splendide ciascuna delle quali, al di là di tutto, è già da sola una storia, un poema. "Confessioni" è la galleria mesta dei cinque personaggi - non uno di più, a mio avviso - che nell'Inferno hanno la gloria di poter raccontare in prima persona e a lungo la loro vicenda, una vita eterna inchiodata da moti dell'anima e azioni che nelle loro parole suonano coi rintocchi dell'inevitabilità - "non poteva andare altrimenti". Ugolino, Guido da Montefeltro, Pier delle Vigne, Ulisse e una sola donna, Francesca da Rimini, sono diventati indefinibili eroi o miti, stereotipi, parametri degli abissi del destino umano. Con la loro strana identità di invenzioni letterarie, pure calcati su personaggi storici, resi anime dell'aldilà, abitanti d'un mondo a noi sconosciuto, diventano ancora più enigmatici di Amleto, Edipo, Don Giovanni. Eppure, che umanità sublime nel loro respiro.
Ai piedi della loro testimonianza dall'aldilà, ci siamo ritirati. Ho cassato tutto quanto Dante dice per presentarceli, per spiegarceli, comprese le descrizioni delle pene e le difficoltà affrontate per arrivare alle rispettive bolge, e alla Specola si sente solo la loro voce, quello che loro e nessun altro pellegrino o giustiziere o commentatore hanno detto.
Grazie a Teresa Fallai e Sandro Carotti, alla loro umiltà e sensibilità di interpreti che porgono Dante all’ascoltatore con il talento di due attori fiorentini che sanno davvero quello che dicono, le cinque anime si rivolgono finalmente al pubblico senza tutori - si capisce solo lasciandoli spogli – con frasi brevi e faticose, non premeditate, un foglietto scritto rapidamente e messo in una bottiglia gettata nell'oceano della pena senza tempo.
Pur avendo spurgato tutto il contorno alle loro confessioni, cere anatomiche della Specola sono un panorama eloquente, osiamo dire perfetto per fare da "contesto" alla loro presenza, da sostegno visivo alla voce del dolore. Non solo perché l'anatomia del Susini è senza scrupoli e ci illustra il "da cenere a cenere" di cui siamo composti e il corpo "macchina" al quale s'è rassegnato Amleto, ma anche perché l'occhio - direi quasi la lacrima - che vediamo nel volto degli squarciati di cera ha un'autonomia di umanità assoluta che è tutta un'altra cosa rispetto agli organi vivisezionati. L'autonomia di queste pupille è la stessa che Dante dà a ciascuna anima in pena (hanno perso tutto, l'infinito della condanna li riduce a fantocci, eppure nelle cinque apparizioni c'è un tale sentimento). E in questo Dante, come il Susini, è un maestro di sensibilità senza fine.

Niccolò Rinaldi, 2001

"Nono cerchio"

Al Museo di Paleontologia riuniamo questo modo nostro di vedere nella Commedia sia una costellazione di agghiaccianti storie individuali che una poetica del viaggio fantastico. "Il Nono cerchio" è l'antro nero della promenade, quello degli ultimi passi prima di risalire nel Purgatorio, il pozzo più profondo. Sono gli ultimi tre canti: anche qui la geografia infernale è padrona e affascinante, dal Cocito alla Giudecca. Ma a differenza di Dite qua non ci sono solo orchi e dannati "nella massa", ma si ritrova una delle confessioni delle serate alla Specola, l'ultimo grande incontro dell'Inferno - Ugolino, questa volta affidato a un mago di Dante come Carlo Monni. Gli spettatori giudicheranno da soli, ma io credo che Carlo non reciti la Commedia, ma la viva nella propria pelle, anzi la monti, domando il verso dantesco in una cavalcata che lo piega alla sua fisicità di interprete, al suo respiro pieno di emotività e forza. È l'opposto di quanto si vede in giro: in genere gli attori si piegano alla Commedia, puntellano il vero affrontandolo con timorosa reticenza e difendendosi dalla sua complicata struttura e sonorità mettendo avanti la bella voce e le sottolineature enfatiche.
Come se non bastasse, il Museo di Paleontologia incornicia ogni vanità con il monito del grande scheletro di dinosauro, nella cui sala presentiamo "Il Nono Cerchio". L'imponente struttura ossea e i reperti fossili sono il mondo ideale della Divina Commedia, che nell'Inferno non parla solo della nostra vita futura, ma delle nostre paure, delle proiezioni del nostro mondo pieno di fango.

Niccolò Rinaldi, 2001

"La città di Dite"

Uno dei lumi che mi hanno orientato nella scelta dei testi è leggere la Divina Commedia per quello che essenzialmente è: un capolavoro della letteratura di viaggi. Tutto il poema del resto è rimando alla geografia, con un basso continuo dato dai fiumi (dalle tante apparizioni dell'Arno fino al Danubio) e dalle barche o navicelle, con una descrizione dettagliata delle impervie vie percorse. Non caso, nei libri della Divina Commedia è d'uso allegare al testo una cartina dei luoghi delle tre cantiche così come descritti da Dante, proprio come si fa con i libri di viaggio.
Accompagnati ancora da Sandro Carotti e dalla sua esperienza piena di curiosità, viaggiamo dunque con il nostro eroe e dimentichiamo per un paio di sere la dottrina e la simbologia, ma sgraniamo gli occhi di fronte all'episodio (non sempre abbastanza popolare) più allucinante del cammino dantesco: la città di Dite. A questa diabolica urbe e alla sua sinistra periferia sono dedicati quasi quattro canti, e dentro accade di tutto: la visita è vivamente sconsigliata alle persone facilmente impressionabili e ai bambini (quantomeno quelli non accompagnati). Le tombe che si scoperchiano sono l'anticipo degli attuali zombie cinematografici, il canaio orribile della sua popolazione mostruosa ce la raffiguriamo con i tristi personaggi dipinti secoli dopo da Bosch e altri fiamminghi. Si può allora anche isolare questa città dal resto della Commedia e seguire queste altre due serate alla Specola come due lunghi racconti di viaggio nell'aldilà, circondati dalla storia di generazioni di uomini di latitudini differenti del "di quà". La Specola è infatti forziere di storie arcane d'ogni genere, e i genitori farebbero bene a portare i propri bambini a sgranarsi gli occhi nel fascino retró di questo museo piuttosto che a vedere qualche film con effetti speciali.
A parte un nuovo incontro con le cere anatomiche, il percorso itinerante delle serate farà scoprire allo spettatore/viaggiatore anche un luogo poco conosciuto, la neoclassica Tribuna di Galileo (normalmente chiusa al pubblico), una strana sala celebrativa anch’essa a suo modo iscritta alla categoria del fantastico: in una tribuna che ha parvenze di cappella mortuaria, il monumento a Galileo pare l’imponente ombra che esce dal sepolcro - e con le raffigurazioni celebrative di un grande immortalato in pose pompose, che storie ci si potrebbe fare sopra, sembrano proprio il là a un racconto dantesco.

Niccolò Rinaldi, 2001

Le musiche di scena per "Inferno"

Le “Sequenze per una lettura di Dante” per clarinetto e flauto, scritte per il progetto “Inferno”, creano attorno ai canti scelti percorsi formalmente compiuti sia nella microforma, ovvero il singolo brano di breve durata, sia nella macroforma ovvero nel divenire di singoli elementi dei singoli brani che vengono ripresi e sviluppati in altri brani, in un tutto compiuto come una singola, prolungata composizione.
I due strumenti, (e più di due: vari clarinetti, vari flauti) sono considerati come un unico strumento, dove la trama si sviluppa considerando le diverse proprietà e caratteristiche dell'uno e dell'altro.
La Commedia ci appare come un pianeta dove vi sono storie che a loro volta sono risultati di storie del tempo e che vengono (ri)vivificate dal linguaggio di Dante. Così l'idea è di una musica che raccoglie connotazioni, condizioni, citazioni - nello specifico anche di frammenti di antiche canzoni da un qualche passato e che, al contempo, sia presente e rifletta e conduca il presente ed il futuro della trama musicale. La musica diventa, quindi, più che un commento alla Commedia così come scritta, considerata poi nell'attualità di una ambientazione quale quella di Zauberteatro.

Claudio José Boncompagni, 2001