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"Volsi così colà ove si puote, come si vole... o cedi o ti cazzotto!"
"La Divina Commedia: oratorio burlesco"
da "La Divina Commedia" di Venturino Camaiti

interpreti:
dal 2006

Sandro Carotti (attore)

Luca Becorpi (clarinetto)


dal 1999 al 2005

Alessio Sardelli (attore)

Altamante Logli (1999 e 2000), Beltranto Mugnai (2001-2006) (cantastorie)
Luca Becorpi (clarinetto)

regia: Niccolò Rinaldi
musiche: Claudio José Boncompagni
ideazione scenica: Mario Librando
allestimento: Massimo Carotti



Senza voler parlare dei turisti, quanti di noi fiorentini hanno mai visto la nostra città dal centro del fiume? Sicuramente pochi, anzi, pochissimi. E quanti di questi fortunati lo hanno fatto ascoltando le peripezie dell'Alighieri nazionale? Il numero si restringe ancor di più (e comunque tende a zero!).
Zauberteatro, con questa "Divina Commedia", si propone di "riscoprire" il fiume, in una maniera assolutamente nuova e diversa senza naturalmente tralasciare l'aspetto spettacolare e culturale dell'operazione. E questo rimane in piena linea con le prerogative di gran parte delle produzioni Zauberteatro. Negli anni (e sono ormai quattordici!) la traccia che abbiamo scelto come prioritaria è stata quella di offrire ad un pubblico (il più eterogeneo possibile) spettacoli che vivessero in equilibrio fra innovazione e massima fruibilità, fra impegno culturale e divertimento, in localizzazioni "non teatrali", dalle piazze ai parchi, dalle ville ai luoghi storici, mirando alla valorizzazione di spazi, talvolta, misconosciuti agli stessi fiorentini. Così sono nati spettacoli quali "Sogno" e "Isola", itineranti nel Parco di Villa Fabbricotti, "Aspettando Godot" a San Salvi ed alla chiesa di Santa Elisabetta, "1492 - libri di Lorenzo" in scena per sette estati consecutive alla Villa Medicea di Careggi, e molti altri.
In questo caso, la nostra intenzione è quella di creare uno spettacolo "garbato" ed elegante, di minimo impatto (anzi, diremmo ad impatto zero) per la normale vita cittadina, che possa divenire sì un "evento" cittadino grazie soltanto alla sua particolarità ed alla sua qualità e non, piuttosto, per i grandi mezzi od i grandi nomi a disposizione.
Sarebbe, comunque, difficile definire con una sola parola questo progetto "Divina Commedia". Senza dubbio è uno spettacolo, anche divertente e gradevole, adatto ad un ampio pubblico (dal turista di un certo livello al fiorentino curioso, allo studente "anticonformista") grazie alla sua graffiante comicità, tutta fiorentina, ed alla sua contemporanea immediatezza e spontaneità.
Ma è anche un particolarissimo e suggestivo giro turistico. Si naviga, di notte alla luce delle fiaccole, lungo il tratto più affascinante del percorso fluviale in città: un continuo susseguirsi senza sosta di sorprese e di inaspettati scorci architettonici, di piccoli particolari urbani tutti nuovi (seppur quotidiani) considerando l'insolito punto di vista. Forse l'unico termine utilizzabile per definire la serata è "viaggio". In effetti un viaggio lo è, fisicamente, sul fiume: ci si imbarca, si naviga e si torna indietro. Ma anche la "Commedia" narra di un viaggio, anzi, lo è essa stessa: un viaggio a tutti noto ma che ad ogni rilettura offre nuove suggestioni, figuriamoci poi se riscritta in "sonetti fiorentineschi umoristici e satirici". Ed infine è un viaggio indietro nel tempo: dall'acqua le spallette degli argini mascherano dai rumori della città moderna così come eliminano dalla nostra vista le auto e le moto e tutto ciò di moderno che ci circonda. L'atmosfera ovattata ci porta in un'altra dimensione che contiene solo il rumore dell'acqua e le immagini che vi si specchiano.
Infine, non si può non considerare che la serata è, in realtà, un condensato di "fiorentinità". Cosa si potrebbe aggiungere infatti a Dante (per di più rivisitato da un altro vero "toscanaccio" quale era il Camaiti), all'Arno (non visto soltanto dalla spalletta ma "vissuto" a bordo dei "barchini") ed al centro della città con i suoi ponti (Vecchio, Santa Trinita e Carraia visti, stavolta dal sotto in su) ed i suoi scorci unici su edifici unici (dagli Uffizi a Palazzo Vecchio, dal Palazzo Corsini a decine di altri)? Forse poco. Magari in una calda serata estiva qualcosa di fresco da gustare: beh! C'è anche questo!

Mario Librando, 1999


Camaiti non è ammesso nella patria della grande letteratura. Né lui né i suoi compari - scrittori dialet­tali, animatori un poco casinisiti di fogli im­brattati di vin santo da osteria dai quali il verso vien fuori schietto, su­bito riconosciuto dall’uditorio del posto e igno­rato dalle ac­cademie e dalle enciclopedie. Venturino Ca­maiti è un nome (che già in sé è una sugge­stione: ce lo ve­diamo arguto e baffuto, vestito come ci si vestiva negli anni venti, decoroso e senza pre­tese) che non figura nelle enci­clopedie. Eppure da lui la poe­sia sgorgava naturale e fresca, e con essa anche un’attenzione colta e sensibile alla grande tradizione lettera­ria della To­scana, come testi­monia il suo fornitissimo “Dizionario eti­mologico-pra­tico-dimostrativo del linguag­gio fiorentino”. Si tratta di un’opera colta e utilis­sima, oggi rigorosamente in­trovabile. Una prova di più del ghetto nel quale il nostro Venturino è stato recluso, bol­lato proba­bilmente come di­lettante, certo non meritevole di beccarsi una strada fioren­tina in suo nome.
Invece se la meriterebbe. Tuttavia Camaiti non sembra tipo da prendersela, sa di avere le spalle larghe e ben coperte. Dietro di lui c’è un mondo antico e solidissimo di cultura popolare quotidiana, un mondo che vien da lontano e che sa ri­conoscere i suoi, consapevole di dove provocare e meleggiare e di dove fermarsi per non ca­dere, mai, nello scurrile, nel compiacimento gratuito del goliardismo.
Camaiti rende a Dante un buon servizio. Il divino poeta tanto più è meleggiato e tanto più è in realtà osannato. La caricatura è la forma dell’estremo omaggio, inclusa la dichiarazione implicita pro­pria del “sei uno dei nostri”, del “a te possiamo dire tutto”. E non si tratta di burla gros­solana, tutt’altro. Sensibile allo spirito pedagogico e didattico che voleva istruire le “masse”, il nostro Venturino non si limita a una canzonatura, ma alza il tiro. La sua Commedia è completa, articolata in 100 sonetti (talvolta raddoppiati), quanti sono i canti, e rispettosa delle varie suddivisioni fra gironi e cieli e quant’altro. Il suo sonetto è un riassunto fedele del canto. Camaiti non tralascia un nome, non ignora nessuno degli episodi fondanti il poema. A tal punto che per la nostra versione in Arno, ab­biamo dovuto sfoltire qua e là - mentre nella tournée tedesca ci siamo piccati d’una versione integrale. Per di più, in questa trama completa, Camaiti non è gratuito nel suo commentare. Infierisce sulle contraddizioni palesi di Dante, della chiesa e talvolta perfino della giustizia divina; abbassa le braccia arrendendosi scon­solato davanti a disquisizioni teologiche incomprensibili e per i più assurde; mette il dito nel destino paradossale di certe anime condannate, come Paolo e Francesca puniti in modo da cornificare in eterno il povero marito di lei. La psicologia sommaria dei personaggi principali (Dante fra l’assonnato, il cacasotto e il divertito, Beatrice saputella, Virgilio pedante e trombone) non è del tutto peregrina, come non lo è mai nel caso delle maschere.
Chi esce dalla lettura o dall’ascolto della Commedia del Camaiti avrà pertanto una percezione precisa e completa dell’ambizioso disegno della Divina Commedia stessa. Lo spettacolo avrà avuto una ra­gione di più per avventurarsi in questa impresa alla risco­perta di una cultura con la “c” minuscola che però si capisce adesso quanto è preziosa.
La messa in scena da parte di Zauberteatro della Commedia burlesca era per loro un invito a nozze. E per noi tutti il segno che il mondo del Camaiti non è ancora di ieri.

Niccolò Rinaldi, 2000


Il rapporto fra la città di Firenze ed il suo fiume è, al giorno d'oggi, quasi totalmente inesistente, per lo meno se ci riferiamo ad un "utilizzo" del corso d'acqua per usi commerciali, spettacolari, ricreativi, sportivi, etc.
Probabilmente due delle ragioni principali di questo "abbandono" sono il forte inquinamento ed il conseguente depauperamento delle acque di questo come di tutti i fiumi. Ma non solo: hanno contribuito sicuramente, per esempio, anche il decentramento della "vita fiorentina" dal nucleo antico della città e le mutate necessità di velocità di trasporti e di comunicazioni.
Nel passato non era certo così. Fin dall'epoca tardo-romana (II sec. d.C.) abbiamo testimonianze certe di un uso del fiume come via di trasporto e di comunicazione. Infatti, sebbene l'Arno non sia mai stato un grande fiume navigato, rimane ancora oggi traccia, nel tessuto urbano, in corrispondenza delle attuali vie de' Neri e della Mosca, dell'esistenza di un'ansa dove sorgeva un porto fluviale.
Successivamente, e fino, perlomeno, a tutto il secolo scorso, l'Arno è stato sfruttato per la pesca, per l'escavazione della rena da utilizzare per l'edilizia (i renaioli, con le caratteristiche imbarcazioni munite di lunghe pertiche, hanno resistito fino al nostro secolo, soppiantati solo dalle draghe meccaniche), per lavare i panni e le stoffe (che venivano poi stese ad asciugare negli enormi tiratoi che sorgevano spesso in prossimità delle sponde), per lavarsi (i bagni pubblici erano numerosi sulle rive), come fonte di energia idrica (per i mulini ed i primissimi insediamenti proto-industriali) nonché‚ come luogo per attività sportive o ricreative (dal canottaggio ai barconi con i romantici Caffè ottocenteschi con orchestrina) e spettacolari (come sulla terraferma si utilizzavano le piazze e il cortile di Palazzo Pitti per eventi particolari, così il tratto di fiume tra Ponte Vecchio ed il Ponte alla Carraia ospitava spettacoli sull'acqua quali naumachie, sfilate di battelli, parate o giochi pirotecnici).
È proprio quest'ultima, fra le funzioni dimenticate del nostro Arno, che, a nostro parere, sarebbe ancora attuale. Tutte le altre attività che un tempo si svolgevano sul fiume sarebbero oggi improponibili ed anacronistiche. E poi, in una città, nella quale la ricerca di spazi nuovi è all'ordine del giorno, sembra, quantomeno, uno spreco il non utilizzare in alcun modo (se non come fogna!) una superficie così vasta, che attraversa tutta la città e della quale i fiorentini oggi si interessano solo quando il livello delle piene raggiunge i limiti di guardia.

Mario Librando, 1997