"Blues di Banlieue"

liberamente tratto da "Blue de chauffe" di Nan Arousseau



di e con
Antonio Masi

riduzione teatrale e regia
Antonio Masi

musiche originali
Jacopo Orlando

si ringrazia il poeta Franco Castellani per i versi tratti da "Fissile"


Firenze, parco di Villa Fabbricotti
29 e 30 luglio 2008



Antonio Masi ritorna sulla scena come interprete e regista di un monologo teatrale a metà strada fra il giallo e la critica sociale. Il testo, liberamente tratto dal racconto "Bleu de chauffe" di Nan Aurousseau, ha come protagonista un operaio idraulico, Dan Mamouth, uomo in rivolta che conosce la nomenclatura delle tubature sulla punta delle dita e i dettagli delle macchine curvatrici. Ha soggiornato 7 anni dietro le sbarre. Sei mesi prima della sospirata libertà segue un corso di formazione che lo avvia al mestiere. Comincia così la sua carriera nella "normalità sociale", nei cantieri di una Francia flessibile e globalizzata, precaria e clandestina. Sognava di fare lo scrittore ma la società ha chiuso su di lui le ganasce di una trappola micidiale da cui non riesce ad uscire. Ne viene fuori invece una storia ammaccata con un capo, Dolto, disonesto, di una ditta chiamata CCRAMPS (Caldaie Coperture Ristrutturazioni Azienda Maurice Paquez e Soci). Dolto intrallazza truffe con le Assicurazioni e a danno degli stessi dipendenti. Dan lavora con materiali scadenti e tipi formidabili. Come Makalou, manovale africano, che si blocca completamente quando smarrisce il suo amuleto che lo preserva da ogni guaio. Dan ha Dolto nelle narici e i suoi vecchi demoni dell'epoca del carcere gli danno allegramente alla testa.
"Blues di Banlieue" è un brivido proletario. Un odore di saldatura sul rame. Un tintinnìo di chiavi sulla lamiera. Qualcosa che somiglia ai film degli anni Cinquanta, quando la lotta di classe non era ancora relegata alla pattumiera della storia. È una calda atmosfera di cantieri baracconi, dove bisogna sgobbare con materiali scadenti, senza tutele, in casermoni costruiti a colpi di subappalti. L'accento delle periferie è quello dell'Africa e sostituisce l'accento dei sobborghi.
Dan non è il proletario dalle buone intenzioni, non è filantropo. È proletario al naturale con molta fantasia e gioiosamente arrabbiato. Blues di Banlieue è un regalo. Con pennellate di ritratti piacevoli come quello della donna dell'eroe presa da una furia pulitrice: "Quando lei ha l'aspirapolvere tra le mani non è più la stessa. E' come posseduta. Attraversa il cosmo a cavallo della scopa elettrica e più niente esiste intorno a lei. Una specie di sabba selvaggio completamente incosciente come una crisi d'epilessia senza la bava. Non vorrei essere al posto della polvere quando passa a bordo della scopa".
La recitazione è energica, il linguaggio ruvido mitraglia a percussione colpi di immagini senza sosta, ecco l'inizio: "Dolto. Dolto è un nome. Dolto è un nome di merda. Il mio capo si chiama … Dolto. Una personcina soave, 40 anni, fuori rotonda, dentro geometricamente viscida, spigolosa, spietata… sta portando via la cassaforte della ditta. Oggi! Aveva lasciato detto di essere in vacanza… Si crede furbo, ma io tac tac gli faccio le foto. Mi chiamo Dan, Dan Mamouth, e se è vero com'è vero che in un nome è chiuso il senso del proprio destino, io Mamouth mi chiamo e a capa come un mamouth tengo, le cose non le scordo facilmente, caro Dolto".

Antonio Masi










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